La Russia bloccherà completamente le forniture di gas attraverso l’Ucraina

17.01.2015 08:36
di The Saker
Dapprima ero un po’ scettico. Poi è arrivata da più fonti la conferma di quello che sembra ormai indiscutibile: la Russia bloccherà completamente le forniture di gas attraverso l’Ucraina e tutto il gas russo transiterà ora attraverso la Turchia (vedere Bloomberg e Life News). Come se non bastasse, i russi hanno anche comunicato agli europei che se vogliono il gas russo, devono costruirsi il loro gasdotto fino alla Turchia e pagarselo tutto.
Gli europei sembrano completamente frastornati. Maros Sefcovic, il vice-presidente della Commissione Europea per la politica energetica comunitaria, ha dichiarato che questa decisione “economicamente non ha senso”. Come se il costante stato di guerra economico e politico fomentato dall’Unione Europea verso la Russia avesse qualche significato!
Posso immaginare le facce degli euroburocrati quando Alexei Miller, il capo della Gazprom, ha detto che “ora tocca a loro approntare le infrastrutture necessarie, iniziando dal confine greco-turco”, mentre il ministro russo per l’energia, Novak ha aggiunto che “la decisione è stata presa, stiamo diversificando ed eliminando i rischi legati a nazioni inaffidabili che hanno causato problemi negli anni passati, e questo vale anche per i consumatori europei”.
In altre parole, l’Unione Europea ha appena perso tutto, e così ha fatto l’Ucraina. Tenete a mente che l’Unione Europea non ha altra scelta che quella di comprare il gas russo dalla Turchia mentre la Russia può semplicemente fare a meno delle esportazioni verso l’Europa in quanto la Cina ha già firmato un contratto per la stessa quantità di gas e , se fosse il caso, anche molto di più.
Vadiamo adesso come le infinitamente corrotte, arroganti e criminalmente irresponsabili elites europee se la caveranno con un’agricoltura che soffoca in un surplus di merce invenduta, una società che ha dichiarato una guerra ideologica a più di un miliardo e mezzo di mussulmani, e ora senza risorse energetiche.
Sembra che i soliti insostituibili polacchi se ne siano usciti con una brillante strategia: “certamente” non inviteranno Putin alla commemorazione per la liberazione di Auschwitz, anche se Auschwitz è stata liberata dall’esercito sovietico. Sono sicuro che Putin sarà impressionato e anche addolorato.
Adesso, ogni volta che sento notizie dall’Europa penso sempre alla famosa “ si fotta  l’Europa” di Victoria Nuland e a come Boris Johnson, il sindaco di Londra, ha definito i suoi colleghi: “grandi gelatine invertebrate prostrate e protoplasmiche”. Condivido esattamente gli stessi sentimenti: che i vari “Charlie” se ne stiano al freddo nella loro patetica mediocrità.
Fonte:  Vineyardsaker 17.gen 2015.
 
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Russia-Turchia: l’alternativa a South Stream

Matteo Tacconi 14 dicembre 2014
 
Il gasdotto South Stream è ufficialmente archiviato. Mosca però ora guarda ad Ankara come alternativa nella partita energetica. I rapporti tra i due paesi sullo sfondo dei gasdotti
South Stream non si farà più. Lo ha annunciato il presidente russo Vladimir Putin nel corso della sua recente visita in Turchia, dove ha incontrato l’omologo Recep Tayyip Erdoğan.
Il gasdotto, tanto ambizioso quanto costoso, era volto a soddisfare la domanda europea di “oro blu” bypassando l’Ucraina, tradizionale cerniera tra produttore russo e consumatore europeo. Il progetto è preesistente all’attuale crisi nell’ex repubblica sovietica, con cui Mosca ha più volte avuto a che ridire sulle questioni energetiche. Vedi alla voce “guerre del gas”.
Sul versante settentrionale dell’Europa l’aggiramento di Kiev è già realtà. Dal 2011 è in funzione Nord Stream, un lungo tubo che passando dal fondale del Baltico sfocia sulle coste della Germania. South Stream, il cui tracciato definitivo si snoda in Turchia (via Mar Nero), Bulgaria, Serbia, Ungheria e Austria, era funzionale a completare il quadro, approvvigionando il ramo meridionale e centrale del continente, inclusi i paesi non ancora membri dell’Ue.  
Ma appunto, tutto è stato archiviato. Almeno fintanto che i rapporti tra Unione europea e Russia resteranno tesi: politicamente e commercialmente. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il blocco della posa dei tubi in Bulgaria, scattato a giugno. Il motivo formale sono le irregolarità commesse da Sofia nell’assegnazione dei lavori, allegramente appaltati ai russi. Quello sostanziale il deterioramento dei rapporti tra l’Ue e la Federazione russa.  
Energia e interscambio
Putin, in ogni caso, ha già in mente delle alternative con la Turchia. I due capi di stato, nel vertice di Ankara, hanno parlato della possibile costruzione di un altro gasdotto, che terminerebbe al confine greco-turco, garantendo dunque l’accesso al mercato europeo.
La televisione all news russa in lingua inglese, RT, riferisce che il volume del gasdotto sarà pari a 63 miliardi di metri cubi, dei quali 14 serviranno a soddisfare il mercato interno turco. Che nel frattempo riceverà tre miliardi di metri cubi aggiuntivi, via Blue Stream, gasdotto con portata da 16 miliardi di metri cubi che corre sul fondale del Mar Nero, collegando la Russia meridionale alle coste settentrionali turche. È controllato da Gazprom e Eni.
Gli accordi di Ankara, da parte russa, servono a trovare vie d’uscita dal caso South Stream e dunque a salvaguardare contratti già firmati. Quanto alla Turchia, è l’interesse materiale a farla da padrone. Erdoğan e il suo primo ministro, Ahmet Davutoğlu, ex titolare della diplomazia, badano al sodo e guardano ai vantaggi che possono derivare dai buoni rapporti economici con la Russia, tra l’altro in crescendo.
Oltre alle faccende energetiche, che coinvolgono pure il nucleare (Mosca aiuterà Ankara a potenziarlo), c’è in gioco anche il commercio. Dieci anni fa il volume degli scambi bilaterali ammontava a poco più di cinque miliardi di dollari. Oggi si viaggia intorno a quota 35. L’obiettivo, nel 2020, è arrivare alla cifra tonda e simbolica dei cento. Magari con una bilancia meno sfavorevole alla Turchia, che importa dalla Russia più di quello che esporta.
Le divergenze in politica estera
Al di là dell’esigenza di respiro corto, vale a dire compensare i contratti siglati su South Stream, anche la Russia manifesta nei rapporti con la Turchia un approccio segnato dal realismo. Affari prima di tutto, anche al netto delle divergenze sulla politica estera. Una è relativa alla Siria. Putin sostiene Assad, Erdoğan vuole che se ne vada. Stesso discorso sull’Egitto, con Mosca che appoggia la giunta insediatasi al Cairo e Ankara che la disprezza. Anche il conflitto del Nagorno-Karabakh divide. Ankara sta con gli azeri, Mosca propende dalla parte dell’Armenia, dove ha una base militare.
Quanto al tema caldo di questi tempi, l’Ucraina, i due paesi non sono certamente allineati. Ankara ha infatti visto con preoccupazione la secessione della Crimea, sia in virtù della presenza della minoranza tatara (la cui diaspora in Turchia ha protestato all’arrivo di Putin), sia perché è membro Nato e tutto sommato, benché i sentimenti atlantisti siano più tiepidi del solito, le navi russe ormeggiate a Sebastopoli – ormai a tutti gli effetti un porto russo, non più in affitto – incidono sugli aspetti strategici nel Mar Nero.
A ogni modo, Erdoğan ha prediletto una postura cauta, praticamente neutrale, evitando di adeguarsi alle sanzioni comminate da Bruxelles nei confronti di Mosca e sventando dunque le contromisure russe sull’agroalimentare. Anche in questo caso, il ragionamento è informato dall’interesse pratico. L’ortofrutticolo, il caseario e il settore delle carni stanno conquistando posizioni importanti sui mercati della Russia.  
L’amicizia tra Erdoğan e Putin
L’andamento delle relazioni internazionali si basa spesso e volentieri sulla “chimica” tra i politici. Nel caso russo-turco, diversi analisti hanno messo in luce la buona intesa raggiunta nel corso del tempo da Erdoğan e Putin. Ishaan Tharoor, giornalista del Washington Post, ha annotato le somiglianze tra i due. Entrambi sono decisionisti, accentratori, muscolari. Entrambi vedono nella fede – Erdoğan nell’islam, Putin nel cristianesimo ortodosso – uno strumento di coesione, consenso e legittimazione. Entrambi, infine, coltivano l’ambizione di influire maggiormente nell’arena internazionale, insistendo sui perimetri dei vecchi, rispettivi spazi imperiali.
Logicamente non tutto procede all’insegna dell’analogia. In Turchia c’è un’opposizione più strutturata, i processi elettorali sono meno controllati e Bruxelles riesce in qualche misura a influire sul contesto turco.
Ciò appurato, la relazione tra Russia e Turchia passa sì dall’amicizia tra Erdoğan e Putin, ma è soprattutto guidata dalla realpolitik. I tempi della guerra fredda, quando tutto era bianco o nero e l’Urss, vista da Ankara, incuteva timore, sono passati. Turchia e Russia si sentono soggetti pienamente inseriti in una dimensione multipolare. Si regolano così di conseguenza.
 
 
Putin vuole Turchia e Israele neutrali sulla crisi ucraina
Il leader del Cremlino tenta di scompaginare i piani di Washington 
e Bruxelles facendo leva sulle crepe dell’Occidente
 
 
MAURIZIO MOLINARI 18/04/2014
corrispondente da GERUSALEMME  
 
Vladimir Putin punta sui leader di Turchia e Israele per indebolire l’assedio delle sanzioni Usa e Ue alla Russia. Nella partita strategica innescata dall’intervento di Mosca in Crimea, il leader del Cremlino tenta di scompaginare i piani di Washington e Bruxelles facendo leva sulle crepe dell’Occidente.  
 
Il primo obiettivo è la Turchia di Recep Tayyip Erdogan perché si tratta dell’alleato-chiave di Washington negli equilibri del Mar Nero: oltre ad essere un Paese Nato, con un esercito da un milione di uomini e un lungo confine con la Russia, è anche il custode del Trattato di Montreux che dal 1936 regola il traffico attraverso lo Stretto dei Dardanelli. Cogliendo l’occasione della recente vittoria di Erdogan nelle elezioni locali, Putin lo ha chiamato e dopo i complimenti di rito gli ha fatto presente che la Turchia sta “venendo meno” agli obblighi di Montreux perché “consente alle navi da guerra Usa di sostare nel Mar Nero oltre la soglia limite dei 21 giorni” prevista per le unità militari dei Paesi non litoranei.  
 
Erdogan ha respinto tali accuse ma il fatto stesso di averle sollevate, continente il messaggio a cui Putin tiene di più: i rapporti fra Mosca e Ankara dipendono dalle scelte che Erdogan farà sulla crisi ucraina. Poiché Russia e Turchia hanno in comune imponenti progetti di sviluppo energetico - greggio e gas - ciò significa far suonare ad Ankara un campanello d’allarme su cosa rischia se sosterrà Washington nella crisi in atto. Putin preme perché sente di poterlo fare: Erdogan ha già dimostrato di non condividere la linea dura della Nato contro la Russia, evitando di esprimersi esplicitamente a favore delle sanzioni. 
 
Pochi giorni dopo la conversazione con Erdogan, Putin ha parlato con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Sull’Ucraina, il governo di Netanyahu ha avuto finora un approccio assai prudente, al punto da attirarsi le critiche dell’ambasciatrice Usa all’Onu, Samantha Power. Putin apprezza la cautela di Israele e la telefonata con Netanyahu si è trasformata in una “riflessione comune” sulle “crisi aperte” ovvero non solo l’Ucraina ma anche la Siria e l’Iran. L’intento di Netanyahu è evitare che la rottura con l’Occidente sull’Ucraina porti Putin a schierarsi in maniera netta con Teheran nella partita sul nucleare.  
 
Aver avuto un simile, prolungato, scambio di opinioni su tali argomenti lascia intendere che fra i leader di Russia e Israele esiste un canale aperto ai massimi livelli, potenzialmente capace di generare intese future. Putin è consapevole dei forti legami di Washington con Ankara e Gerusalemme e sa di non poterli rescindere ma vorrebbe Turchia e Israele neutrali nel duello con l’Occidente sull’Ucraina. E quanto sta avvenendo sul terreno gli consente di ritenerlo un obiettivo possibile. 

 

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