Le sanzioni alla Russia sono un boomerang per il Made in Italy
DA BUONGIORNO SLOVACCHIA, IL 18 DICEMBRE 2014
Mentre continua la caduta libera del rublo, gli Stati Uniti approvano nuove sanzioni contro le aziende russe e nuovi aiuti all’Ucraina che colpiranno in particolare Rosoboronexport, il principale esportatore di armi russo, e l’azienda energetica russa, Gazprom.
In Italia intanto, si susseguono con un ritmo abbastanza incalzante le interrogazioni parlamentari nelle quali i deputati chiedono al governo misure efficaci per reagire alla preoccupante situazione delle imprese italiane danneggiate dalle contromisure russe alle sanzioni Ue.
Il Cremlino ha infatti messo al bando alcuni prodotti alimentari. L’andamento economico dell’eurozona, già alle prese con la recessione, conosce dunque un ulteriore fattore di instabilità.
Agroalimentare a rischio
Tra le merci bandite dalla risoluzione che andava a implementare il decreto presidenziale del 6 agosto 2014, la Federazione russa ha adottato speciali misure restrittive limitatamente alla circolazione di alcuni prodotti del settore agroalimentare – principalmente frutta, vegetali, carni, pesce, latte e alcuni prodotti caseari – verso i Paesi che hanno imposto le sanzioni economiche (oltre all’Ue, Canada, Australia, Stati Uniti, Norvegia).
Il segmento agroalimentare dei beni di consumo Made In Italy, che da solo rappresenta il 10% del nostro mercato secondo le stime dell’Italian Trade Agency, è quello che rischia di subire maggiori danni.
Anche Londra piange: la fuga dei magnati colpisce il mercato immobiliare
Meno clienti russi, prezzi fermi dopo 7 anni di boom
VITTORIO SABADIN
La crisi del rublo causa non poche preoccupazioni anche a Londongrad, quella parte di Londra così chiamata perché ci vivono i russi. Va dalla City agli eleganti quartieri di Mayfair e Belgravia, passando per Piccadilly, Regent Street e New Bond Street, dove si fanno gli acquisti tornando a casa. Le agenzie immobiliari di Londongrad hanno qualche problema: per la prima volta da decenni i prezzi delle abitazioni in città crescono meno che altrove: solo lo 0,5 % negli ultimi tre mesi. Cinque città, Southampton, Glasgow, Edimburgo, Bristol e Birmingham hanno fatto meglio, con la capitale scozzese che festeggia il no al referendum per l’indipendenza con un brillante + 1,8.
Chi ha comprato casa a Londra qualche anno fa non ha da lamentarsi, visto che i prezzi sono saliti del 30,5% dal 2007 e che il costo medio di una abitazione ha raggiunto le 403.000 sterline, 514 mila euro. Ma la frenata preoccupa, anche perché le previsioni per il prossimo anno non sono buone: nel resto del Paese i prezzi delle case saliranno del 3%, a Londra saranno stabili.
Avanzano francesi e italiani
Dare la colpa solo alla fuga dei russi travolti dalla crisi sarebbe sbagliato, ma è certo che Christie’s International Real Estate ha registrato un improvviso calo del 70% nel numero di cittadini russi che si registrano per acquistare una casa. Le principali agenzie, come Knight Frank e Beauchamp Estates, dicono di avere ancora moltissime richieste per le residenze tra i 20 e i 200 milioni di sterline, ma i russi nel mercato al di sotto dei 10 milioni sono scomparsi, superati da francesi e italiani.
Londongrad è preoccupata, perché nelle vie del lusso non si vedono più russi, perché oligarchi come Roman Abramovich hanno perso centinaia di milioni di sterline in poche ore a causa della crisi di Mosca, e perché il peso dei russi sull’economia della città non è trascurabile. Non si tratta solo degli investimenti nella City, nelle squadre di calcio o in giornali come l’Independent e l’Evening Standard. Una casa su dieci al di sotto di 2 milioni di sterline è stata acquistata negli ultimi anni dai russi. I russi donano mediamente ogni anno al partito conservatore del premier Cameron 1,5 milioni di sterline.
Avvocati preoccupati
I russi arricchiscono non solo il mercato immobiliare e i negozi di lusso, ma anche gli studi legali. Solo la causa tra Abramovich e Boris Berezovsky ha fruttato agli avvocati 150 milioni di sterline e il 60% dei procedimenti della London commercial court riguarda ancora conflitti sulle spoglie dell’ex Urss. Ci sono poi i divorzi: i numerosi oligarchi che volevano una compagna più magra e più giovane pagavano un prezzo molto alto, con apprezzabili ricadute economiche. Londongrad non può più fare a meno dei russi e, segretamente, fa il tifo per Putin.
L’embargo russo mette in difficoltà l’export veneto
16/01/2015 in Economia Inserisci un commento
Soffre l’export veneto diretto verso l’Europa dell’est, Russia ed Ucraina in particolare. E’ l’embargo russo a rallentare le nostre esportazioni, ed a mettere addirittura in ginocchio soprattutto il comparto agroalimentare. “Nei primi nove mesi del 2014 – fa sapere Unioncamere – l’export complessivo veneto verso la Russia, dopo le misure protezionistiche in seguito alla tensione nei rapporti politici fra Mosca e l’Europa per la crisi Ucraina, ha subito un calo del 7,6%, a fronte invece di una crescita che c’era stata nell’anno precedente del 9,7%”. Il crollo riguarda quasi per intero i prodotti agroalimentari.
Tra gennaio e settembre del 2014, infatti, l’agroalimentare veneto verso la Russia ha subito una flessione dell’11%, che sfiora il -30% se si considerano soltanto i prodotti alimentari soggetti ad embargo, quali carne di manzo, carne suina ed avicola, frutta e verdura, latte e formaggi. A salvare un po’ la situazione sono le esportazioni di vino ed alcolici, che fanno scendere la fetta di mercato persa dal 30% al 20%.
Le cose vanno ancora peggio se si prendo in esame le esportazioni verso l’Ucraina. “Nei primi nove mesi del 2014 – spiega ancora Unioncamere – l’export complessivo del Veneto verso Kiev ha subito un calo del 21,5% e, considerati solo i prodotti alimentari proibiti, la flessione supera il -28%, mitigata anche in questo caso dall’incremento di esportazioni di vino e alcolici (+10,4%).
“Piangere sul latte versato serve a poco, soprattutto in casi come questo – commenta pragmatico Fernando Zilio, presidente di Unioncamere Veneto –. Possiamo sostenere tutto e il contrario di tutto, ovvero che per mantenere le nostre esportazioni agroalimentari non dovevamo sanzionare la Russia o viceversa che, in ossequio al diritto internazionale calpestato, dovevamo essere ancora più duri. La verità è che all’embargo ora si sono aggiunti anche i problemi della grave crisi che sta mettendo in difficoltà l’economia russa, per cui va considerata l’idea che quel mercato sia destinato a non tornare ai livelli precedenti, anche se le sanzioni e le conseguenti ritorsioni dovessero rientrare”.
“Diventa indispensabile per i nostri produttori – conclude Zilio -, ampliare il raggio d’azione sui mercati, in modo da ridurre il più possibile i rischi di tensioni oggi più che mai presenti su tanti scenari mondiali. In tutto questo chi non fa una bella figura è l’Unione Europea, peraltro nei mesi scorsi a guida italiana, che non solo non ha saputo gestire la questione degli aiuti ai produttori colpiti ma non sembra neanche in grado di rappresentare una propria linea stretta tra i dettami dell’Alleanza atlantica e le forniture energetiche russe”.
Se questa tendenza venisse confermata anche dai dati dell’ultimo trimestre, secondo le stime elaborate dal Centro studi di Unioncamere del Veneto, solo nel 2014 l’embargo russo costerà alle imprese esportatrici dell’agroalimentare veneto almeno 7,5 milioni di minori vendite. E’ comunque a rischio è l’export dell’intero comparto, che vale oltre 90 milioni di euro. Dall’embargo per ora sono esentate alcune categorie, in particolare vini ed alcolici, se anche questi prodotti diventassero oggetto di restrizioni commerciali le perdite per l’agroalimentare veneto potrebbero attestarsi a quasi 9 milioni di euro, che salirebbero ad oltre 10 milioni se includessimo tutti gli altri prodotti agroalimentari al momento non embargati.
Turismo Le cifre della Stagione
L’addio dei russi alla riviera: -15%
I dati su arrivi (+1,9%) e presenze (-2,7%) mettono in luce le enormi difficoltà del momento. Tuttavia aumentano gli italiani. Le crisi dell’aeroporto e del rublo sono risultate una combinazione fatale. Il presidente della Provincia Gnassi: “Dobbiamo investire per continuare a essere centrali”
RIMINI - Dasvidania Rimini. I russi ci hanno dato l’addio. Il crollo delle presenze è del 15%. Fino all’anno prima l’aumento era a doppia cifra. E’ il dato ufficiale fornito dalla Provincia. Crescono gli arrivi ma calano le presenze, soprattutto dei russi. I dati relativi ai flussi di vacanzieri giunti nella provincia lo scorso anno sono stati elaborati e forniti dall’Ufficio statistica e rilevano risultati contrastanti. Nonostante un aumento degli arrivi di un +1,9%, diminuiscono infatti le presenze di un -2,7%. In compenso, rimane ancora una volta sopra l’asticella dei 15 milioni il numero dei pernottamenti complessivi a Rimini. Oltre i 3 milioni invece gli arrivi.
Diverse le cause che invece hanno portato a una contrazione del turismo estero, sia per quanto riguarda gli arrivi (-1,9%) che per quanto riguarda le presenze (-3,4%). In primis sicuramente i problemi legati all’aeroporto, ma anche la crisi del rublo, che ha influenzato negativamente il turismo russo. Nel 2014 sono scesi del ben -8,2% gli arrivi e del –15,3% i pernottamenti di persone provenienti dalla Russia.
Questo dato è stato sottolineato anche dal presidente della Provincia, Andrea Gnassi, che ha così commentato i numeri: “La stagione più difficile - ha detto - quella che ha visto incrociarsi alla crisi economica italiana le difficoltà del mercato interno russo e della crisi del rublo, conferma in ogni caso come la meta Riviera di Rimini mantenga inalterate, anzi se possibile incrementa, le potenzialità attrattive. Il numero degli arrivi, con quella cifra abbondantemente superiore ai tre milioni che rappresenta una sorta di spartiacque a segnalare un buon risultato da uno meno buono, lo dimostra senza timore di smentita. In questo senso il territorio riminese, dalla costa all’entroterra, si conferma la meta più amata dal mercato nazionale. La crisi economica non incide tanto sulla voglia di fare vacanza ma sulla durata della vacanza: meno soldi in tasca significa meno giorni di permanenza e meno capacità di spesa nell’extraricettivo. Come enti pubblici – continua Gnassi - stiamo investendo, nonostante le difficoltà, sui progetti di riqualificazione urbana che elevino la qualità internazionale e sulla rete di collaborazione e intesa tra costa ed entroterra. Non traccheggiamo ma rilanciamo in un periodo di fortissima incertezza perché convinti che da adesso e per i prossimi cinque anni si determinerà il nuovo formato dell’offerta turistica nazionale e dunque anche quella riminese. Il volere essere centrali nel presente e nel futuro ci spinge oggi a investire”.
Tra i cambiamenti riscontrati, nel 2014 si è assistito in particolare a un sensibile ritorno in riviera degli italiani, con un +3,1%. Era da anni che il dato relativo agli arrivi dei connazionali era in progressiva flessione, anche se lieve. Segno positivo dunque per i flussi di turisti provenienti dalle regioni da sempre affezionate al territorio di Rimini, ovvero Lombardia (+4,4%), Emilia-Romagna (+6,2%), Piemonte (+4,7%) e Veneto (+6,4%). A scendere però è la percentuale dei pernottamenti degli italiani, con un -2,5.
Se si guarda a un’analisi dei flussi mese per mese, il turismo ha sicuramente risentito del maltempo dell’estate: a fronte infatti di un primavera positiva (aprile +16,9% di presenze e + 29,3 di arrivi e maggio +14,1% di arrivi e -4,4 di presenze), in estate è stato luglio ha pagare le conseguenze del meteo (-2% arrivi e +3,4 presenze). Male anche settembre (-7,1 e -8,5%). Bene invece giugno, +1,3% arrivi e +2,1 presenze, e agosto +5% arrivi ma -0,7% di presenze. Nei mesi autunnali, grazie agli eventi legati al Capodanno, è andato bene dicembre ma solo in termini di arrivi (+5,4%) visto che le presenze segnano uno sconfortante -14,3%.
LUDOVICA MATTIOLI
Torna a crescere l’Export marchigiano: +1,5% ma meno 22,2% in Russia e oltre il 40% in Ucraina.
I dati Monitor dei Distretti delle Marche curato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo per Banca dell’Adriatico.
Martedì 27 gennaio 2015.
Tornano positive le esportazioni dei distretti marchigiani nel terzo trimestre 2014, con una crescita del 1,5%, inferiore alla media dei Distretti Italiani (+2,2%).
I migliori risultati si sono avuti tra le cappe aspiranti ed elettrodomestici di Fabriano (+11,2%), la pelletteria del Tolentino (+7,9%) e le macchine utensili e per il Legno di Pesaro (+12,8%). Positive anche la Jeans Valley di Montefeltro (+1,9%) e gi strumenti musicali di Castelfidardo (+9,8%). Sono calate invece le esportazioni dei distretti delle calzature di Fermo (-3%), il principale distretto delle Marche e, quelle delle Cucine di Pesaro. (-9%), entrambe realtà fortemente esposte sul mercato russo, area dove hanno registrato le perdite più significative ( rispettivamente -23,4% e -24,1%). Nei primi nove mesi del 2014 le inmprese industriali marchigiane hanno ridotto le vendite sul mercato russo del 22,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, equivalente ad una perdita in valore di 82,7 milioni di Euro. Analoghe dinamiche hanno coinvolto le esportazioni dirette in Ucraina, dove il calo è stato superiore al 40%.
Si evidenzia che una crescita positiva e in accelerazione per i mercati maturi (+5,1%), mentre si conferma la dinamica negativa, seppure in attenuazione, registrata sui nuovi mercati aa partire dal quarto trimestre del 2013 (-2,3%). Sono questi in estrema sintesi, i principali risultati che emergono dal Monitor dei Distretti delle Marche curato dalla Direzione Sudi e Ricerche di Intesa Sanpaolo per Banca dell’Adriatico. L’andamento negativo dei nuovi mercati – commenta Roberto Dal Mas, Direttore Generale di banca dell’Adriatico – è determinato dal calo delle esportazioni registrato in Russia, principale sbocco commerciale per le imprese marchigiane. Su questo Mercato le vendite hanno cominciato a calare nel secondo trimestre 2013 e le flessioni sono cresciute di intensità con l’intensificarsi della crisi russo-ucraina.